Copenhagen: Prestigiacomo «Regole uguali per tutti»

Intervista al Ministro dell'Ambiente pubblicata dal Sole 24 Ore

 
prestigiacomo2«L’Italia è d’accordo con nuovi vincoli alle emissioni solamente a patto che valgano per tutti. Altrimenti non c'è alcun beneficio per l'ambiente e si accrescono i divari di competitività», afferma Stefania Prestigiacomo, siracusana, ministro dell'Ambiente, 43 anni festeggiati mercoledì stappando una bottiglia negli uffici di cartongesso della delegazione italiana al Bella Center di Copenhagen.
Il negoziato si muove su due tracce parallele, chi vuole il grande trattato mondiale e chi vuole prolungare l'efficacia del Protocollo di Kyoto oltre il 2012. Perché l'Italia sostiene con forza il grande accordo globale? «Siamo favorevoli a un accordo unico che vincoli tutti con regole uniche. Non devono esserci disparità. Ovviamente, gli impegni dovranno essere differenti, i paesi sviluppati devono ridurre le loro emissioni, i paesi di nuova industrializzazione devono poter crescere ma senza aggravare il peso sull'ambiente, e poi ci sono paesi poveri che hanno bisogno del nostro aiuto per sfuggire al crollo climatico, per mitigare gli effetti di inondazioni o dell'avanzata del deserto».
L'Europa vuole candidarsi a tagliare le emissioni del 30% al 2020 e la posizione italiana è contraria. Perché? «Non siamo contrari per principio a una riduzione aggiuntiva delle emissioni. A patto che ci sia quella che chiamiamo comparabilità con gli altri paesi. Altrimenti si allarga ancora il divario di competitività. Ridurre del 30% le emissioni nel 2020 significa investire subito nelle tecnologie attuali, con i loro limiti, concentrandoci nelle fonti rinnovabili di energia e nella cattura e sequestro dell'anidride carbonica. Gli Stati Uniti invece si impegnano a raggiungere gli stessi obiettivi finali (il 50% in meno di emissioni mondiali nel 2050) ma attraverso una traiettoria che concentra gli sforzi più in avanti e investe oggi sulle tecnologie di domani. Penso al nucleare di quarta generazione, che non avrà le scorie che oggi ci frena nell'adottare un programma nucleare profondo».
La comparabilità di cui si parla, quindi, è una pari dimensione di sforzo nella riduzione delle emissioni? «Non solo. La comparabilità riguarda, per esempio, le misure per contenere la delocalizzazione, cioè il trasferimento delle attività industriali in paesi dove ci sono meno limiti alle emissioni diCO2».
Perché alcuni paesi europei propongono questo taglio aggiuntivo alle emissioni? «Per motivi negoziali, per motivi di consenso. Sperano che, con questa proposta unilaterale, gli altri paesi del mondo seguiranno l'esempio europeo. Anche dal punto di vista della trattativa la carta del 30% è un elemento negoziale da giocare più avanti, non va bruciato subito».
Quindi, visto che comunque ne parla come soluzione negoziale, non è contraria per principio a questa riduzione aggiuntiva delle emissioni? «Se ci saranno le condizioni, perché no? Ma ci devono essere le condizioni. La decisione di tagliare del 20% entro il 2020 fu presa da un consiglio europeo, e solamente un altro consiglio europeo può modificarla. Noi vogliamo essere realisti, e vogliamo un trattato che valga per tutti i paesi, con un regime giuridico comune a tutti invece dell'attuale divisione tra paesi ricchi e paesi non sviluppati che crea divari. Si tratta di creare un accordo di valore storico, un trattato che ci vincolerà per i prossimi 4o anni e che condizionerà i destini del mondo: preferiamo un esito equo ed efficace tra sei mesi, forse al prossimo summit di Città del Messico, rispetto a una mossa negoziale unilaterale che non porta alcun beneficio ambientale. Qui si tratta di definire il modello di sviluppo del mondo, mentre troppi governanti si preoccupano soprattutto del consenso di oggi, senza apportare alcuna riduzione reale delle emissioni del mondo. Si rischia di creare divari, di accentuare gli svantaggi: noi italiani ci siamo già penalizzati e paghiamo oggi gli errori del passato».
Quale modello di sviluppo immagina? «Quella su cui si lavora qui a Copenhagen è una sfida difficile ma giusta. La cosiddetta green economy è un'opportunità e conviene. Quella verde è l'unica economia possibile per il futuro, e dà subito vantaggi diretti, come le bollette più basse quando si fa efficienza energetica».
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