Il ministro Prestigiacomo al «Giorno della Sostenibilità» organizzato da Enel

«La sostenibilità ambientale e sociale per lo sviluppo dei prossimi decenni non è una opzione ma una strada obbligata»

Enel Sostenibilità_HomeIl ministro Stefania Prestigiacomo, promuove la cultura della sostenibilità attraverso un confronto globale, un imponente obiettivo discusso nell'ambito del «Giorno della Sostenibilità» organizzato da Enel.
Un appuntamento che ha visto il responsabile del dicastero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare sottolineare, attraverso un articolato intervento, come la sostenibilità stia diventando un valore anche nel sistema produttivo.

«Ringrazio l’Enel per aver organizzato questo appuntamento, il “Giorno della sostenibilità”, e per aver invitato ospiti tanto prestigiosi e qualificati per discuterne e per indicare percorsi per il futuro. Percorsi che considerano il cambiamento, in chiave di sostenibilità ambientale e sociale, come la più importante opportunità e sfida per il sistema produttivo di domani. Io credo infatti che la sostenibilità ambientale e sociale per lo sviluppo dei prossimi decenni non sia una opzione ma una strada obbligata dettata dalla situazione globale sia in materia climatica che di approvvigionamento energetico.

E’ importante quindi che una progettualità globale maturi in questo campo sia in campo istituzionale a livello nazionale e internazionale, sia da parte delle grandi realtà imprenditoriali private che oggi avvertono la responsabilità sociale delle proprie scelte e delle proprie attività come parte integrante del loro core business.
Sono rientrata ieri sera da New Delhi dove ho partecipato al Summit sullo Sviluppo Sostenibile ed ho avuto l’opportunità di confrontarmi con i rappresentanti del Governo Indiano su queste tematiche.

L’India è, assieme alla Cina la capofila di quel gruppo di paesi di crescente peso economico nei quali convivono aree di grande sviluppo e zone di arretratezza nelle quali vivono centinaia di milioni di persone. Questi paesi sono immensi laboratori di sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo perché se da noi in occidente le scelte ambientali implicano soprattutto cambiamenti culturali ed economici, lì si devono misurare con la innegabile ambizione di masse enormi di popolazione allo sviluppo ed a condizioni e qualità di vita che in occidente sono scontate per la quasi totalità della popolazione.
Io credo che il vertice di New Delhi sia stato soprattutto il vertice della consapevolezza.

La consapevolezza che la comunità internazionale ha bisogno di un approccio nuovo se vuole affrontare in maniera efficace il nodo dei cambiamenti climatici che di fatto è anche quello dello sviluppo sostenibile. Perché nessun risultato concreto sul clima sarà possibile se l’inevitabile sviluppo di giganti come Cina e India non proseguirà con strumenti energetici a basse emissioni di carbonio. Il summit indiano è stato il primo vertice “globale” dopo il fallimento Copenhagen ed ha confermato la impraticabilità del metodo seguito fin qui con il doppio percorso finalizzato da un lato a raggiungere un accordo globale fra tutti i paesi del mondo su target di riduzione delle emissioni vincolanti e dall’altro a rinnovare il protocollo di Kyoto da cui gli Usa sono rimasti fuori e che non impegna ad alcun intervento sulle emissioni i paesi emergenti.

Il rischio che a New Delhi è stato chiaramente delineato e che se si procede con questa metodologia anche il vertice di fine anno in Messico rischia di concludersi con un nulla di fatto perché Cina, India e, per ragioni diverse, gli Stati Uniti sono indisponibili a trattati vincolanti. E senza l’impegno di questi paesi una prosecuzione dei vincoli di Kyoto per i soli paesi che vi hanno aderito non avrebbe alcun effetto sul surriscaldamento del pianeta e si trasformerebbe in un handicap economico sul mercato globale per i paesi ambientalmente più virtuosi. Per questo la consapevolezza della necessità di un approccio nuovo si sta facendo strada perché si vuole evitare che in Messico, come accaduto a Copenhagen, per inseguire un accordo impossibile, non si concludano gli accordi possibili.

Quando parlo di accordi possibili non intendo accordi minori o insufficienti, anche perché nessun accordo è l’accordo più insufficiente che esista.
Mi riferisco invece alla valorizzazione degli impegni nazionali, alla definizione di intese regionali, bilaterali o multilaterali su temi specifici come la diffusione delle tecnologie a basso contenuto di carbonio. Penso al programma REDD per la protezione delle foreste.

Parallelamente occorre lavorare a quella revisione metodologica sulla fissazione dei target che storicamente ha diviso i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo e che ruota attorno alla valutazione delle emissioni come quota globale nazionale, o invece in rapporto alla popolazione, le cosiddette emissioni pro capite. Intervenire su questi parametri, come è già stato proposto, significa entrare nel cuore dei problemi che hanno fatto naufragare l’intesa a Copenhagen e cominciare a ragionale in modo nuovo puntando ad un nuovo modello di accordo che sia raggiungibile in tempi ragionevoli.

Un accordo nuovo e diverso che potrà essere raggiunto solo se avrà i connotati non solo e non tanto di accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra ma se saprà essere un accordo sullo sviluppo sostenibile capace di innescare opportunità tanto per i paesi in via di sviluppo che per quelli industrializzati, se saprà essere un’intesa o un insieme di intese su meccanismi di crescita globale ambientalmente e socialmente sostenibili.

In questo ambito assume un rilevo particolare questa giornata di lavoro sullo sviluppo sostenibile perché approfondisce e rinsalda i collegamenti fra sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale ed evidenzia come i due temi non possano essere disgiunti, ma siano aspetti dello stesso problema, elementi della stessa sfida per il futuro. Ed è importante che l’impegno di approfondimento di queste tematiche a livello internazionale veda l’Italia come driver, come protagonista e promotore di questo appuntamento.

Anche perché la sostenibilità sta diventando, anzi è già diventata un valore, anche nel sistema produttivo, affiancando la sostenibilità economico-finanziaria fra gli indicatori della qualità di una organizzazione, di una azienda. Ed il fatto che molti importanti attori del sistema economico nazionale stiano inserendo i bilanci di sostenibilità sociale nella parte più importante e qualificante del proprio sistema di gestione è il segnale di una crescita culturale e di una accettata assunzione di responsabilità.
La scelta della sostenibilità per le aziende, per i grandi gruppi internazionali ha certamente un grande valore etico che, intercettando la crescente sensibilità ambientale dell’opinione pubblica, acquisisce anche un grande valore di mercato. Come indica il tema della tavola rotonda che fra poco si svolgerà la scommessa è quella di “guidare il cambiamento verso un nuovo domani”.

Per il sistema produttivo la cultura della sostenibilità può rappresentare la chiave per valorizzare l’immenso potenziale economico rappresentato dall’acquisizione di competenze, professionalità e tecnologie in settori come quelli della produzione di energia low carbon o delle rinnovabili, della gestione dei sistemi idrici, della organizzazione della mobilità sostenibile. Comparti che saranno i motori trainanti della green economy, l’economia del futuro.

In questa direzione il Ministero dell’Ambiente ritiene di dover avere una funzione forte di stimolo e promozione ed ha tal fine ha avviato un rapporto di dialogo e confronto intenso con il mondo imprenditoriale. Un rapporto in cui si chiedono impegni ma si assicura funzionalità della pubblica amministrazione. Un rapporto in cui si impongono oneri ma ci si impegna in tutte le sedi nazionali ed internazionali per tutelare gli interessi del paese e l’equità delle misure adottate. Sono convinta che il mondo produttivo ha una funzione strategica nella battaglia per la sostenibilità e che tale battaglia non deve vedere Governo e Imprese come antagonisti, bensì come alleati, nella condivisione di valori comuni, nella difesa di interessi che sono altrettanto comuni e come tali riconosciuti dalla collettività.

Questa impostazione sinergica ha dato vita al “Patto per l’Ambiente” che il Ministero ha promosso e siglato da 12 grandi gruppi economici e che presto vedrà nuove e qualificate adesioni. Uno strumento, il Patto, che riteniamo capace di collegare l’impegno istituzionale a quello privato in una direzione condivisa di tutela dell’ambiente e di sviluppo sostenibile.

Il valore della sostenibilità deve essere, naturalmente, anche un valore interno delle Istituzioni. In tale campo esiste una iniziativa europea la “better regulation” che punta proprio a far sì che nella fase di elaborazione delle normative UE venga considerato l’effetto che tali decisioni potrebbero avere sotto il profilo ambientale e sociale. Una esigenza che è stata ribadita da Barroso a fine 2009 in una comunicazione in cui ha chiesto di valutare l’impatto anche occupazionale delle scelte politiche. Anche il Governo ha avviato una elaborazione in questo senso che ha visto un primo passo nella circolare della finzione pubblica AIR (Analisi Impatto di regolazione) che indica l’esigenza di una valutazione degli impatti sociali ed ambientali nella predisposizione degli atti normativi.
Esiste oggi un nuovo clima, sia a livello europeo che internazionale, i recenti passi falsi hanno indotto nuove consapevolezze confermando però in tutti la convinzione che l’unico futuro possibile per tutti è un futuro eco-sostenibile. Un futuro da perseguire con strategie più appropriate, meno ideologiche e più concrete.

Il “sustainable day” che vede confrontarsi proprio su questi temi esperti provenienti da realtà imprenditoriali ed istituzionali molto diverse e lontane, credo proporrà spunti, analisi e proposte importanti che saranno di supporto anche per la nostra azione di governo e per nostre relazioni internazionali».

Area Tematica

Ultimo aggiornamento 26.07.2013