Ambiente: Galletti, adeguare leggi a sfide globali

10 giugno 2016 - Il discorso del ministro Galletti al Convegno AidaAmbiente – Il Codice dell’Ambiente a 10 anni dalla sua approvazione

Ringrazio AIDA Ambiente per aver organizzato questa giornata di confronto di alto livello tecnico sulla normativa ambientale, partendo dal suo più noto atto legislativo, ovvero il Codice dell’Ambiente.

Un confronto che ritengo sia particolarmente prezioso anche alla luce delle novità contenute nella riforma del Titolo V della costituzione e dei suoi effetti sulle competenze anche in materia ambientale, di cui parlerò più avanti.

A dieci anni dalla sua approvazione, il decreto legislativo 152 del 2006, nonostante la sua non esaustività e le innumerevoli modifiche che lo hanno riguardato, rappresenta un riferimento normativo ancora saldo ed effettivo all’interno del nostro ordinamento.

La scelta di ricondurre ad un corpo unico la maggior parte della legislazione ambientale nacque certamente da un’esigenza giusta, in primis quella della semplificazione e dell’incisività delle norme: nel tempo la sua attuazione ha mostrato elementi positivi ma anche diversi limiti, che altri relatori dopo di me potranno approfondire nel merito più tecnico.

Del resto lo stesso codice ambientale nacque nel 2006 non “da zero”, ma tentando di ricomporre la folta e disorganica normativa fin lì esistente nel terreno della tutela ambientale.

Oggi bisogna prendere atto con senso della realtà che il Codice dell’Ambiente, che voleva essere un punto di riferimento fisso e determinato per le politiche ambientali, non sia riuscito a cogliere appieno questa funzione.  Innanzitutto perché molte importanti norme ambientali sono fuori dal codice, ma anche perché nel tempo le modifiche al codice sono state tantissime e continue, e spesso dettate da una buona dose di congiunturalità. La quotidianità delle politiche ambientali è insomma “viziata”, per cosi dire, da un errore di metodo: quella di intervenire modificando sistematicamente il codice dell’ambiente anche per questioni "spicciole". A risentirne è dunque l’organicità e la chiarezza dell’intero Codice. 

Partiamo però da un punto fermo: la cristallizzazione del diritto dell’Ambiente è per sua natura complessa. Oggi poi, ancor più di dieci anni fa, il diritto dell’ambiente incide direttamente sulla vita delle persone, regola aspetti di primaria importanza per garantire a tutti un’esistenza dignitosa. Governare processi tanto ampi e delicati ci porta a pensare che, in base alla logica profonda del principio di sussidiarietà che anima la nostra Costituzione, spesso la decisione ultima del governo di tali fenomeni non può che essere attribuita a quel soggetto in grado di avere un’ampia “panoramica” di valutazioni sugli effetti, positivi e negativi, connessi all’adozione di una decisione. La complessità, l’interrelazione sistemica e l’estensione delle questioni ambientali porta in numerose circostanze lo Stato ad assumersi questo compito.

Le decisioni prese dallo Stato in campo ambientale sono spesso portatrici, tuttavia, di una forte incidenza nei confronti delle funzioni degli altri enti territoriali, ed in particolare delle Regioni. Ciò presuppone, come è giusto che sia, la collaborazione, la consultazione, il confronto con gli enti territoriali. Questo non può però in alcun modo significare far perdere efficacia alle decisioni da adottare, tanto più che tali decisioni sono il più delle volte chiamate a offrire soluzione a grandi priorità e urgenze che, se non affrontate in tempo, possono mettere a rischio l’incolumità delle persone e dei territori. Penso al dissesto idrogeologico in primis, ma anche alla gestione dei rifiuti e al tema della depurazione, che espongono l’Italia a pesanti multe da parte dell’Europa. 

E’ il motivo per cui il governo sta ricorrendo e ricorrerà ovunque sia necessario, assumendosi in pieno le responsabilità riconosciute dalla Costituzione, ai poteri sostitutivi di cui è titolare per rimediare alle inadeguatezze regionali e locali. Così è, ad esempio, per gli importantissimi temi degli interventi necessari per le opere di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue e per la bonifica delle numerosissime discariche abusive per le quali siamo stati condannati in sede europea.

La legislazione vigente – altra criticità certamente da sanare – troppo spesso costruisce, nei vari settori del diritto dell’ambiente, complessi concorsi di competenze tra i vari enti territoriali con discipline poco chiare. Qui l’esigenza di dar voce alle istituzioni territoriali diventa troppo spesso la sua distorsione, ovvero una complicazione procedurale tale da mettere a rischio l’intero sistema decisionale. Ce ne siamo resi conto, ad esempio, sul tema del dissesto idrogeologico: progetti e risorse ferme nei cassetti per decenni, a causa di lungaggini burocratiche e balletti di competenze, hanno rinviato gli interventi necessari consegnandoci un Paese più insicuro di quanto già la sua complessità geomorfologica non lo abbia determinato. Tra i nostri primi atti di governo, non a caso, c’è stato quello – previsto nel decreto 91/2014 – di rendere i presidenti di Regione Commissari Straordinari al Dissesto e di sostituire tutti gli adempimenti necessari all’apertura dei cantieri con un atto unico del Presidente-Commissario.

Oggi è necessario adeguare la nostra legislazione alle grandi sfide globali che ci attendono. Pare allora necessario rivedere sia il decreto legislativo 152 del 2006 che le altre normative ambientali più importanti. Non è impresa da poco. Ma è necessario costruire un tessuto normativo credibile per fronteggiare le complesse sfide che pone il diritto dell’ambiente, anche tenendo conto delle profonde trasformazioni costituzionali che sono in corso. E’ necessaria allora, e su questo stiamo intensificando il lavoro, una ricognizione nella legislazione vigente dello stato delle competenze delle procedure in tutti i settori nevralgici, cosi come l’elaborazione delle direttrici principali dell’intervento normativo di adeguamento del riparto delle competenze ambientali.

Il passaggio storico rappresentato dalla Cop21 di Parigi ha cambiato profondamente le prospettive ambientali e insieme economico-sociali del Pianeta. Quell’intesa ci impone, nel quadro dell’accordo europeo, di andare verso l’economia circolare, di ridurre le emissioni e gli sprechi di risorse naturali, di accelerare la transizione verso le energie rinnovabili. Di vivere l’ambiente non più solo come un bene da tutelare, ma come un valore su cui puntare per creare nuove opportunità. Noi vogliamo arrivarci nel tempo con un Green Act che credo potrà rappresentare, il primo passo verso un nuovo modo di vedere e vivere la normativa ambientale. Servirà tempo e confronto, ma soprattutto servirà capire quanto accadrà a ottobre. 

In quel mese il referendum chiamerà i cittadini a dare o negare il loro consenso a una grande e profonda riforma costituzionale, che irrobustisce le competenze e le responsabilità dello Stato sui temi ambientali, attribuendo con maggiore chiarezza a quest’ultimo importanti compiti in settori inestricabilmente connessi. 

Il nuovo testo della Costituzione elimina infatti le materie oggetto di potestà legislativa concorrente e assegna in esclusiva allo Stato, tra le altre, materie come “l'ambiente e l'ecosistema”, “le disposizioni generali e comuni sul governo del territorio”, la “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”, le “infrastrutture strategiche e grandi reti  di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza”, “porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale”, “valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici”.

Senza avere la pretesa della verità assoluta e rispettando tutte le opinioni in campo, credo che l’Italia possa avere con questa riforma gli strumenti giusti per voltare pagina da un passato e un presente di conflitti istituzionali, di immobilismo e incertezze normative, di ritardi nelle bonifiche dei siti inquinati, di opere pubbliche bloccate a prescindere dal merito, di procedure interminabili che scoraggiano cittadini e imprese.  

Per aprirsi allo sviluppo sostenibile e rendere l’ambiente protagonista della crescita del Paese, occorrerà poi una legislazione coerente con le enormi novità che nel caso verranno apportate dalla riforma della nostra Carta.

Il contributo di Aida Ambiente sarà in questo senso fondamentale. 

Vi ringrazio.

 


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