Comunicazioni del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti sulla Conferenza Cop 21 di Parigi
Commissione Ambiente Senato - 3 febbraio 2016, ore 14.30
Signor Presidente, On.li Senatori,On.li Deputati,
desidero innanzitutto formulare il mio vivo ringraziamento per l’opportunità che mi viene concessa. Opportunità che mi permetterà di offrirvi un approfondito resoconto sugli esiti del negoziato per la definizione di un accordo internazionale sui cambiamenti climatici avvenuto nel corso della Conferenza di Parigi sul clima.
1. La COP
Dal 30 Novembre al 12 Dicembre 2015, si è svolta a Parigi la 21° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro per la lotta contro i cambiamenti climatici (da cui l’acronimo COP), che ha visto anche l’ultima sessione dell’ADP (Ad Hoc Durban Platform) ovvero il gruppo negoziale a cui è stato affidato in questi anni il compito di preparare l’Accordo di Parigi.
In linea con i nostri obiettivi e le nostre aspirazioni, posso dire che la Conferenza di Parigi ha segnato un momento storico che, come sapete, è culminato con l’adozione di un accordo internazionale, sottoscritto da tutti i paesi e quindi realmente universale, finalizzato a regolare le emissioni di gas ad effetto serra, individuate ormai con certezza dalla scienza come maggiori responsabili dell’aumento della temperatura del pianeta.
Per la prima volta nella storia, infatti, quasi 200 paesi si sono impegnati ad agire e, ancor più importante, a rispondere delle loro azioni per affrontare i cambiamenti climatici. Tali azioni, che hanno preso forma di contributi nazionali volontari (INDC) presentati dai governi nell’arco del 2015, consentiranno nei prossimi anni una deviazione sostanziale del trend delle emissioni rispetto alla situazione attuale (Business As Usual), contribuendo concretamente a trasformare Parigi in una tappa chiave nella lotta ai cambiamenti del clima.
Naturalmente l’evoluzione del clima, così come gli assetti socio-economici dei vari paesi, il loro sviluppo, le loro politiche energetiche, l’incidenza degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni, non sono elementi fissati al dicembre 2015 e immutabili. Anzi sia i cambiamenti climatici che le dinamiche socio-economiche ed energetiche sono, per antonomasia, soggette ad evoluzioni e cambiamenti.
Ed è per questo motivo che l’Accordo svolge un ruolo determinante, perché fornisce un’architettura duratura e solida per rivedere periodicamente ed accrescere nel tempo gli sforzi di tutti i paesi verso i nostri comuni obiettivi di lungo periodo. A Parigi, infatti, i governi si sono impegnati a ritornare regolarmente al “tavolo” per riconsiderare i rispettivi piani e programmi in ambito climatico e collettivamente assicurare che siano intraprese le necessarie misure per affrontare i cambiamenti climatici e limitare la temperatura al di sotto dei 2°C.
A riprova della ferma determinazione collettiva di raccogliere la sfida che abbiamo di fronte e avviare un processo serio di decarbonizzazione delle nostre economie, l’Accordo racchiude inoltre un obiettivo di lungo termine che stabilisce la necessità di effettuare rapide riduzioni al fine di pervenire ad un equilibrio tra emissioni e assorbimenti nella seconda parte del secolo.
In questo contesto, l’Unione Europea e l’Italia, forti dei risultati ottenuti a livello domestico e degli impegni ambiziosi assunti dai nostri capi di stato e di governo al 2030 (che ricordo sono il taglio di almeno il 40% le emissioni rispetto al 1990, la crescita fino al 27% della produzione di energia da fonti rinnovabili e l’incremento del 27% dell’efficienza energetica) hanno svolto un ruolo di primo piano, esprimendosi con un’unica voce e lavorando costantemente con tutti i partner negoziali per la realizzazione di questo successo.
E non è un caso che tale successo sia pienamente in linea non solo con il mandato negoziale dell’Unione Europea per la Conferenza di Parigi, costruito con il contributo degli esperti del nostro ministero in tutti i gruppi tecnici negoziali europei, ma anche con gli obbiettivi dell’Italia che ha, in particolare, spinto l’Unione Europea a costruire le proprie posizioni negoziali per un accordo che consenta la più ampia partecipazione possibile, superando le limitazioni del Protocollo di Kyoto.
2. Elementi chiave dell’Accordo
Come abbiamo già avuto modo di constatare prima della mia partenza per Parigi, l’Accordo comprende diversi elementi e affronta la questione dei cambiamenti climatici a più livelli:
- l’obiettivo di lungo termine (già concordato a Cancún nel 2010), di limitare l’incremento della temperatura entro i 2°C al 2100 rispetto ai livelli preindustriali. Come vi avevo promesso nel nostro ultimo incontro prima di Parigi, sono fiero di potervi informare che non solo siamo riusciti a confermare il nostro obiettivo comune di mantenere la temperatura media globale entro i 2° centigradi ma abbiamo sostenuto con forza e con successo anche l’esigenza di mettere in campo tutti gli sforzi necessari per giungere a 1.5° centigradi. L’Italia e l’Unione Europea si sono impegnati con successo a far emergere il senso di urgenza che la natura del problema ci impone e a includere coerentemente nel testo dell’Accordo una visione collettiva di lungo periodo che miri ad avviare un percorso verso la neutralità carbonica entro la seconda metà del secolo.
- gli aspetti di mitigazione, per cui l’Unione Europea si è spesa considerevolmente negli anni riuscendo ad ottenere ottimi risultati a Parigi. Si è deciso infatti di mettere in piedi, mantenere e realizzare politiche, misure e strategie nazionali e di presentarne di nuove e di più ambiziose ciclicamente ogni 5 anni, a partire dal 2020. Abbiamo di fatto costruito un sistema duraturo e dinamico che consentirà di adeguare progressivamente i nostri sforzi ai nostri obiettivi di lungo termine, evitando di rinegoziare e concordare ogni 5 o 10 anni azioni specifiche.
- la differenziazione, intesa come la possibilità che gli obblighi dei Paesi che aderiranno al nuovo regime debbano essere formulati tenendo conto delle diversità delle realtà ambientali ed economiche e dell'evolversi delle mutate circostanze nazionali presenti e future, è stata universalmente riconosciuta. Il compromesso raggiunto a Parigi pur confermando, con diverse sfumature a seconda se si tratti di mitigazione, finanza e adattamento, il ruolo guida dei paesi industrializzati, amplia a tutti i paesi che ratificheranno l’accordo l’obbligo (azioni di mitigazione) e l’opportunità (finanza per il clima) di contribuire agli sforzi messi in campo, in funzione del loro stadio di sviluppo. Questo cambio di passo, che rappresenta uno dei principali risultati raggiunti durante la Conferenza, pone le basi per un approccio equo, dinamico ed efficace in grado di tracciare un percorso impegnativo ma realizzabile per raggiungere l'obiettivo di lungo termine di rimanere al di sotto dei 2° C.
- la finanza per il clima, in altre parole il bilanciamento tra gli impegni richiesti e il supporto finanziario garantito a favore dei Paesi in via di sviluppo. I paesi industrializzati hanno confermato e rinnovato i propri impegni a favore dei paesi in via di sviluppo fino al 2025, quando tali impegni saranno nuovamente rivisti e aggiornati alla luce dei cambiamenti nel frattempo intercorsi. I nostri sforzi consentiranno di aiutare in modo concreto ed efficace tali paesi a ridurre le emissioni, adattarsi ai cambiamenti climatici e a rafforzare le loro capacità di implementare l’accordo nel lungo periodo.
- le regole e la governance, per un sistema di rendicontazione degli sforzi intrapresi e dei risultati raggiunti dai singoli paesi. Siamo riusciti a concordare e stabilire un unico sistema che assicuri la trasparenza del nuovo regime e richieda a ciascun paese di riportare i rispettivi progressi nella realizzazione dei piani di mitigazione, valutandone regolarmente con cadenza quinquennale la portata collettiva alla luce dell’obiettivo di rimanere al di sotto dei 2°C e di adattare rapidamente tali obiettivi alle mutate situazioni socio-economiche.
Nonostante la portata della sfida che ci attendeva a Parigi per chiudere un’intesa sul clima davvero efficace ed ambiziosa, credo di poter affermare con assoluta certezza che l’Italia e l’Unione Europea sono stati all’altezza delle aspettative contribuendo alla definizione di un accordo al tempo stesso inclusivo, dinamico e allargato, dove tutti i Paesi sono chiamati a partecipare e a collaborare in linea con le proprie responsabilità comuni e differenziate secondo le proprie circostanze nazionali.
Come Unione Europea, mi sento di dire che abbiamo svolto un eccellente ruolo di guida nel dibattito che ha alimentato la visione alla base dell’accordo di Parigi e, più in dettaglio, di alcuni degli elementi principali e più innovativi del nuovo regime quali: la revisione quinquennale degli impegni; l’obbiettivo di lungo termine; le regole del sistema di rendicontazione. Siamo stati tra coloro che hanno fornito la maggior parte delle risorse finanziarie per i paesi in via di sviluppo per la lotta ai cambiamenti climatici. Abbiamo portato avanti un continuo e quanto mai paziente lavoro di tessitura di alleanze e relazioni dei più importanti attori statali del processo negoziale come gli Stati Uniti, il Brasile e il Sud Africa, quale passo essenziale per costruire il consenso indispensabile alla chiusura dell’accordo. Abbiamo sostenuto con continuità e con pieno successo il tentativo della Presidenza Francese di coinvolgere attivamente tutti coloro che al di fuori dei governi (le città, le regioni e gli altri enti subnazionali, le organizzazioni internazionali, le imprese, i popoli indigeni, le donne, i giovani, le istituzioni accademiche) realizzano iniziative serie ed efficaci nella lotta ai cambiamenti climatici.
Credo sia inoltre giusto ricordare che l’Italia è stata tra coloro che hanno sostenuto a gran voce all’interno e al di fuori dell’Unione Europea la necessità di un robusto quanto chiaro sistema di Governance per dare certezza agli impegni di ognuno e creare le premesse per uno sforzo collettivo che riveda periodicamente gli impegni al rialzo.
A tal fine, come sapete, l’Italia si era fatta promotrice di una proposta specifica sulla costruzione delle capacità dei paesi in via di sviluppo per un robusto sistema di rendicontazione e verifica, proposta che oggi con nostra grande soddisfazione è a pieno titolo parte integrante dell’Accordo di Parigi.
Sono dunque convinto che il Governo italiano, rappresentato al tavolo negoziale dal Ministero dell’Ambiente, abbia giocato un ruolo attivo in questo appuntamento e abbia sostenuto più che mai l’azione europea, facendo valere tutta la sua influenza e le sue relazioni, contribuendo a segnare un momento storico della lotta ai cambiamenti climatici.
3. Prossimi passi
Dal resoconto che vi ho appena presentato appare chiaro che l’appuntamento di Parigi rappresenta un enorme passo in avanti nella lotta ai mutamenti del clima, ma è solo uno dei molti passi di un lungo percorso. L'accordo definisce l’architettura e il mandato per un'azione collettiva e concertata, la sfida vera è ora quella di attuare la profonda transizione concordata verso un futuro a basse emissioni e resiliente al clima a tutti i livelli.
In primo luogo, i contributi nazionali comunicati dalle Parti devono essere attuati. Per molti Paesi in via di sviluppo questo richiede un sostegno costante per migliorare le limitate capacità nazionali, e su questo l’Italia ha dimostrato chiaramente di aver compreso prima di altri il ruolo chiave che questo tema avrà per il futuro dell’accordo.
I governi nazionali dovranno rivedere periodicamente le loro azioni e laddove possibile dimostrare maggiore coraggio e ambizione negli sforzi da intraprendere. In questo contesto, un primo passo chiave sarà determinato dalla rapidità con cui questo accordo entrerà in vigore e dal grado di partecipazione. Il segnale politico che scaturirà da questo processo contribuirà ad aumentare la probabilità che gli attori nazionali, soprattutto in settori chiave, siano disposti a perseguire riduzioni più ambiziose di gas serra.
Innalzare l’ambizione dell’accordo, per i paesi in via di sviluppo, sarà legato, in buona misura, anche alla messa a disposizione per questi Paesi dei cosiddetti “mezzi di implementazione”: ovvero risorse finanziarie, capacity building, tecnologie. Vorrei qui ricordare che il sistema di Monitoraggio, Rendicontazione e Verifica, che tanto abbiamo sostenuto come elemento sostanziale per assicurare la dinamicità dell’accordo, si applica non solo agli obbiettivi di riduzione delle emissioni, ma anche a quelli finanziari. Ne consegue che l’obbiettivo
dei famosi 100 miliardi l’anno costituisce, oggi, un elemento imprescindibile dell’accoro al quale il nostro Paese dovrà obbligatoriamente contribuire con il giusto contributo. Pertanto, la cooperazione con i Paesi partner, e in particolar modo con quelli più vulnerabili, dovrà essere un elemento costante della nostra azione internazionale. In tal senso siamo impegnati al Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con i colleghi del MAE e del MEF a rafforzare tale impegno, ben consapevoli che può trasformarsi anche in un volano per l’internazionalizzazione delle nostre imprese.