L'intervento del ministro Galletti agli Stati Generali del Verde Urbano

18 nov 2015 - L’intervento del ministro
Mi fa particolarmente piacere aprire i lavori della prima edizione degli Stati generali del verde urbano, organizzati dal Ministero per il tramite del Comitato per lo sviluppo del Verde pubblico. E mi fa piacere farlo a pochi giorni da un appuntamento importante.

Siamo ormai in prossimità dell’avvio dei lavori della Cop21 di Parigi. Proprio in quella città straziata dall’odio del terrorismo, le grandi potenze del Pianeta dovranno riunirsi per trovare un modo comune di vivere assieme, di crescere e progredire. E di farlo nel rispetto dell’Ambiente, dunque delle persone che oggi lo abitano e di quelle che lo faranno domani.

La vivibilità del Pianeta è la più straordinaria delle sfide. E questa sfida si vince con i grandi accordi mondiali – certamente – ma anche con tutte quelle iniziative che migliorano la qualità del nostro ambiente e dunque la vita quotidiana dei cittadini.  

Oggi c’è un dato di fatto oggettivo: per limitare il discorso al Vecchio continente, circa i 4/5 della popolazione europea vive ormai in zone urbanizzate, e la tendenza non accenna a diminuire. Di qui, la necessità crescente di valorizzare, riscoprire, ripensare al verde urbano.

La vivibilità del Pianeta è, dunque, anzitutto la vivibilità delle città.

Evidenze scientifiche ormai consolidate dimostrano, da questo punto di vista, che gli aggregati urbani con maggiore densità di verde assicurano condizioni migliori di vita, sia riguardo al temperamento degli effetti dei cambiamenti climatici, sia riguardo alla capacità di assorbimento delle emissioni nocive per la salute umana. 

Il nostro verde, anche quello urbano, contribuisce a definire il bilancio dei gas serra emessi a livello nazionale. Per dare un’idea, le aree verdi cittadine hanno la capacità di assorbire sino a 12 milioni di tonnellate annue di CO2, quasi il 3 per cento delle emissioni totali, con intuitivi effetti sul fattore di rischio, in particolare, cardiovascolare, che risente dell’esposizione prolungata alle polveri sottili.

Ne troviamo conferma chiara anche nella legge n. 10/2013, che istituzionalizzando la “Giornata nazionale degli alberi”, precisa che l’obiettivo è proprio attuare il protocollo di Kyoto, nel quale come noto si riconosce al patrimonio arboreo e arbustivo un ruolo essenziale nel “miglioramento della qualità dell'aria” .

E’ dunque palese che la maggiore o minore presenza di verde sia fattore che dà forma, in positivo o in negativo, al modello di sviluppo sostenibile individuato e perseguito dalle politiche pubbliche di un Paese. Un modello destinato a declinarsi in tanti modi (compresi riuso del patrimonio edilizio esistente ed efficienza energetica), e la cui costruzione chiede alla politica risposte di fronte alle sfide del nostro tempo. 

 

Verde urbano, naturalmente, non significa solo alberi. Eppure, lo dico in tutta franchezza, poche cose come gli alberi sanno riassumere in sé tutto il molto che sta racchiuso nell’idea comune di verde urbano.

In questo molto, salute e ambiente hanno certamente una valenza primaria, ma il verde pubblico è, occorre rammentarlo, anche identità culturale.

Sta a testimoniarlo la vicenda degli alberi monumentali, sui quali la legge n. 10/2013 ha inteso giocare con coraggio al rilancio, avendo il Parlamento mostrato consapevolezza del fatto che tra gli alberi ve ne sono alcuni che con il passare dei secoli hanno raggiunto dimensioni e forme imponenti, mentre altri, magari meno significativi sotto il profilo strettamente vegetativo, sono espressione viva della storia e delle tradizioni, anche religiose, delle popolazioni che nei secoli si sono succedute in determinati luoghi. Altri ancora, infine, non di particolare pregio naturalistico o secolari, hanno tuttavia assunto nei fatti una fortissima valenza simbolica, che talora va ben al di là dei confini nazionali (caso emblematico è quello dell’albero che ha preso il nome da Giovanni Falcone, a Palermo).

Questi alberi vanno censiti e vanno protetti. Perché sono una parte rilevante del patrimonio culturale di questo Paese. 

Quella collaborazione piena fra amministrazioni che ha consentito a questo Governo di adottare in tempi brevi il decreto attuativo della legge 10/2013 al quale era rimesso di indicare le modalità per provvedere al censimento, sono certo sarà replicata nell’azione di rilevazione e di tutela che vede e vedrà impegnati oltre agli enti locali, anche le donne e gli uomini in divisa. Per evitare che si ripetano – tanto per fare un esempio - episodi come quello del rave party che ha danneggiato in Val d’Orcia una Quercia di circa 300 anni di età.

Questi alberi sono la nostra memoria, la nostra identità, e – voglio dirlo con chiarezza - non intendiamo rinunciarci.

Non intendiamo rinunciare, nell’anno di Expo, non solo al suo simbolo – appunto, un albero – ma anche a ciò che di Expo è comunque destinato a rimanere: le migliaia di alberi che resteranno piantumati nel sito, oppure il ricordo dell’albero piantato personalmente dal Presidente austriaco nel bosco del padiglione del suo Paese. 

E neppure intendiamo rinunciare ad altra memoria, come quella che in questi tragici giorni si è trovato un eccellente modo di onorare a Milano, dove un albero è stato dedicato a Khaled al-Asaad, che dopo una vita di lavoro e studio dedicata al sito di Palmira, memoria della civiltà umana, ha cercato di difendere quei tesori dalla distruzione dell’Isis, pagando questo suo gesto straordinario con la vita. Penso, come persona e come Ministro della Repubblica, che un albero dedicato a Khaled al-Asaad dovrebbe essere messo a dimora in ogni città italiana, ad iniziare da Roma. Dove sono forti le radici della cultura, non cresce la 

mala pianta del terrorismo. L’albero e la sua messa a dimora hanno infatti anche una potente funzione educativa, e proprio per questo insisto, nel dialogo che con approccio sempre costruttivo intrattengo con i sindaci, sulla necessità di rispettare la regola di “un albero per ogni neonato”. Anche dove lo spazio a disposizione dei comuni sembra mancare, del resto, da oltre 20 anni è possibile trovarlo sui terreni statali, come chiarito di recente dal Comitato per lo sviluppo del verde pubblico (delibere nn. 2/2014 e 9/2015). 

Verde pubblico è però, anche, economia, che preferisco declinare – per convinzione e non per conformismo - come sviluppo sostenibile. 

Lo è per gli effetti:

• sul risparmio energetico degli edifici che sfruttino coperture a verde, il che si traduce in minore spesa per cittadini e imprese;

• sulla salute delle comunità urbane, e sulla sicurezza dei cittadini che si traducono anche in minore spesa pubblica (sanitaria e sociale);

• sulla ingente spesa pubblica, da riqualificare e riorientare, assorbita dalla gestione del verde urbano comunale, nella quale sono impegnate diverse categorie professionali, che va messa in sicurezza rispetto agli appetiti della criminalità organizzata;

• sull’infrastrutturazione del Paese, che crea opportunità produttive e posti di lavoro, ma va governata (come ci ricorda, fra gli altri, il caso della linea 4 della Metropolitana di Milano) ricercando equilibri nel quale hanno e possono avere un ruolo essenziale anche le misure compensative o di mitigazione ambientale, destinate ad assumere un crescente rilievo in particolare nell’ambito dei provvedimenti di VIA. 

La misurazione di questi benefici sta diventando anche misurabile, attraverso particolari strumenti, per offrire a decisori pubblici e operatori economici un ordine di grandezza non soltanto dei vantaggi economici ritraibili in genere dalle politiche di gestione del verde urbano, ma perfino la quantificazione del vantaggio (l’ombra che limita l’uso dell’aria condizionata, l’effetto estetico che innalza il valore immobiliare, la protezione dal vento, etc.) ricollegabile alle singole specie arboree.

Non è dunque più tempo per letture riduzionistiche, secondo le quali il rapporto fra verde pubblico e sviluppo economico non si spingerebbe oltre la dimensione dei comparti di settore (ad es., florovivaistico) e del turismo naturalistico. Il verde urbano è, come detto, moltoaltro, e proprio la consapevolezza di ciò stimola a lavorare, come sta facendo il Comitato operante presso il Ministero, per la messa a punto e l’implementazione di quei “sistemi di contabilità ambientale” individuati dalla legge 10/2013, conl’accento su infrastrutture verdi e i servizi ecosistemici.

Quella normativa è, a mio avviso, un laboratorio di cambiamento. E in ogni caso un punto di partenza, non di arrivo, che lancia una sfida dalla posta in gioco molto alta a decisori pubblici, tecnici, giuristi ed economisti. Una grande discussione pubblica come gli Stati Generali è dunque strategica e fondamentale. Ciò detto, ritengo che il lavoro, il molto lavoro che resta da fare per raggiungere anche nel nostro Paese standard accettabili dal punto di vista del verde urbano abbia bisogno di molte cose.

Di risorse finanziarie, certamente. Altrettanto certamente, di una visione lungimirante degli enti locali, una parte dei quali soltanto, ancora oggi, risulta dotata di un proprio regolamento del verde.

Ma occorrono anche saperi tecnici, professionisti capaci sappiano mettere al servizio di una causa come questa. E serve la collaborazione fattiva della società civile, compresa quella alla ricerca di forme più mature di responsabilità sociale d’impresa (e da questo punto di vista non mi sorprende la partecipazione di grandi aziende alla tavola rotonda di domattina). Anche perché nelle diverse città del nostro Paese in cui sono state già realizzate esperienze molto avanzate e significative, i frutti sono stati molto positivi. La mobilitazione di tutte queste componenti è essenziale. Il Ministero dell’ambiente farà per intero la sua parte, con un’azione ancor più incisiva del comitato per il Verde Pubblico e nel continuo dialogo con le istituzioni.

 


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