Dissesto, Galletti: lavoriamo a pieno ritmo per recuperare tempo perduto

Svolta con Piano nazionale, risorse ci sono, spenderle bene.
L’intervento del Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti al Convegno “ACQUE SICURE” – Per un nuovo rapporto tra fiume e città”.
MILANO EXPO - Su Wikipedia c’è una pagina che si chiama “Lista delle alluvioni e inondazioni in Italia”. Non credo sia del tutto scientificamente attendibile, ma consente di avere uno sguardo d’assieme sul dissesto italiano dal 500 dopo Cristo ad oggi.

Ci saranno molte dimenticanze e omissioni e certamente gli eventi più recenti sono molti di più anche a causa della quota di vicende meno rilevanti che la storia inevitabilmente accantona e dimentica.

Ma ciò che fa impressione in questo lungo elenco è il riproporsi attraverso 1500 anni degli stessi luoghi. Della centinaia di eventi elencati credo che l’80 per cento si sia verificato nella stessa ventina di aree in Piemonte, Sicilia, Liguria, Toscana, Campania, Veneto, Calabria.

Esiste una fragilità storica di pezzi della nostra Italia, ed esiste una colpa storica di chi ha governato l’Italia negli ultimi decenni, ammettiamolo con franchezza, perché, faccio l’esempio più clamoroso, 5 alluvioni devastanti e luttuose a Genova dal 92 ad oggi, che hanno seguito quella terribile del 1970 con 44 vittime, sono un atto d’accusa senza possibilità di scusanti.

Ed il caso di Genova, ma ci sono almeno un’altra decina di aree simbolo, è emblematico anche di un altro elemento: una alluvione terribile nel ’70, due negli anni ’90, tre negli ultimi 5 anni. Ciò significa certamente che ciò che si poteva e si doveva fare non è stato fatto, ma anche che siamo in presenza di una accelerazione ed intensificazione dei fenomeni, innescato dai cambiamenti climatici, che ci impone si intervenire immediatamente.

Io non so dove colpirà la prossima bomba d’acqua, ma so che arriverà nelle prossime settimane o nei prossimi mesi e so che dovrò andare a parlare ancora con italiani arrabbiati che spalano fango e che, comprensibilmente, se la prendono con Governo, con la Regione, col sindaco perché non è stato fatto ciò che si poteva e si doveva, e a causa di questa inazione loro hanno perduto tutto, case, negozi, aziende e purtroppo spesso anche amici e congiunti travolti da queste ondate che vengono giù e distruggono tutto. 

Dobbiamo correre, cominciando ad intervenire nelle zone più a rischio, che sono note da secoli perché è lì che puntualmente la natura si vendica. Ma se prima questi eventi accadevano ogni 20 anni, oggi si verificano ogni paio d’anni e sono più violenti che in passato. Oggi non possiamo più perdere un giorno, perché ogni giorno che passa ci avvicina alla prossima alluvione e non possiamo più far finta di non sapere.

Avete ascoltato stamani da Mauro Grassi il lavoro che stiamo svolgendo. È un lavoro importante, serio, per il quale non ci aspettiamo complimenti ma stimoli e collaborazioni. Sappiamo di combattere una battaglia difficilissima, che dobbiamo recuperare decenni di cultura del territorio.

È certamente un buon segno essere riusciti ad avviare nell’ultimo anno lavori per quasi 900 interventi del valore di oltre un miliardo di euro, stiamo lavorando a pieno ritmo per sbloccare un altro miliardo e 300 milioni di lavori che erano impantanati nelle pastoie della burocrazia. Parliamo di opere alcune delle quali risalgono ad oltre 15 anni fa.

È una svolta a mio avviso essere riusciti, mentre rimettevamo in moto una macchina di interventi inaccettabilmente inceppata, a varare un programma pluriennale con interventi per altri 7 miliardi in 7 anni ed essere riusciti ad avviare uno stralcio per le aree metropolitane con interventi per oltre 600 milioni.

Ma lo ripeto, non ci aspettiamo complimenti anche perché sappiamo che, come dicevo, dovremo tornare fra la gente in mezzo al fango prima o poi. Stiamo facendo il nostro lavoro recuperando il tempo perduto. Ma chiediamo collaborazione, chiediamo che l’emergenza dissesto idrogeologico diventi centrale anche perché porta con sé molti altri temi e anche opportunità di lavoro e di sviluppo.

Per affrontare questa emergenza ci vogliono sì risorse e la capacità di spenderle presto, bene, in maniera trasparente, ma ci vogliono anche ricerca, tecnologia, cultura del clima e del territorio.

Oggi qui io credo che si stia lavorando e bene in questa direzione. Aver messo a discutere assieme, climatologi, esperti di tecnologie satellitari per il monitoraggio del territorio, esperti del sistema idrografico nazionale, amministratori locali è il segnale di una coesione e di una consapevolezza forte.

Il Governo deve fare la sua parte, trovare le risorse le migliaia di interventi necessari e curare la regia del programma complessivo. Ma non solo. Deve anche giocare da protagonista sullo scenario internazionale per arrivare fra tre mesi all’intesa globale sul clima a Parigi. L’umanità ed anche l’Italia sta già pagando un prezzo inaccettabile per lo stravolgimento del clima in corso a causa del riscaldamento globale. È un imperativo etico, come ci ha ricordato Papa Francesco con la sua Enciclica “Laudato sì”, ma anche un dovere politico porre le basi per arrestare l’incremento di emissioni di gas serra nell’atmosfera che è alla base del cambiamento del clima.

Se vogliamo che la sequenza di tragedie anche da noi si arresti almeno nel medio periodo, dobbiamo riuscire a Parigi a chiudere un accordo alto che sia capace di mettere assieme le ragioni dello sviluppo e quelle del clima, le ragioni del sud e quelle del nord del mondo. Perché dalla minaccia dei cambiamenti climatici nessuno si salva da solo.

Soltanto una intesa che sia universale, ambiziosa, durevole, dinamica e trasparente può affrontare il problema.

Ogni altra eventualità sarebbe una sconfitta per tutti.

Ho ascoltato con piacere oggi la progettualità che un grande gruppo come Finmeccanica offre di mettere in campo per monitorare il territorio, per prevenire ma anche per allertare aree e popolazioni. Abbiamo bisogno di tutti gli strumenti e che la ricerca scientifica e tecnologica si dedichi a questo tema per affinare e realizzare nuovi strumenti di controllo.

Viviamo una realtà complessa che richiede analisi e strumenti complessi. Ed anche un salto culturale.

Dobbiamo ricostruire il nostro rapporto con il territorio, con i nostri fiumi che vanno protetti, che vanno alimentati, che vanno puliti dai fattori inquinanti.

Due giorni fa il CNR ha lanciato l’allarme affermando che “più di un quinto del territorio italiano è a rischio desertificazione” e alcune delle zone più a rischio sono anche quelle a maggiore fragilità idrogeologica. I terreni secchi, aridi sono quelli che più facilmente si disarticolano e franano con le bombe d’acqua, gli alvei dei fiumi inariditi sono quelli che si possono più facilmente trasformare in fiumare micidiali. E sui fiumi secchi spesso s’è costruito, i ruscelli ridotti a rivoli sono stati “tombati” col cemento ignorando la dinamica delle piene ed eliminando le naturali aree di espansione delle acque.

Dobbiamo far pace con i nostri fiumi rispettandoli.

Ho detto e ripeto: basta abusivismo criminale nelle aree a rischio, mai più condoni. Le costruzioni che rappresentano un pericolo vanno abbattute.

In questo lavoro di ricostruzione del rapporto con i nostri fiumi e con il territorio in generale, fondamentale è il ruolo degli enti locali e di quegli enti intermedi, penso ai consorzi di bacino dei fiumi, ai consorzi di bonifica, che vivono sul territorio e ne conoscono problemi e criticità.

È necessaria una grande alleanza della responsabilità se vogliamo proteggere la nostra più grande risorsa, l’Italia, e conservarla integra per le generazioni future.

Oggi qui stiamo lavorando con questo obiettivo, andiamo avanti!


Ultimo aggiornamento 07.09.2015